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sabato 17 aprile 2010

Arkeon, il Cesap e la Tinelli: bare, stracci e altre ossessioni

Il 16/04/2010 la d.ssa Tinelli pubblicava sulla home page del sito del Cesap una lettera aperta in chiedeva “pubblicamente alle tante strutture ricettive, come non abbiamo sentito le urla provienienti dalle stanze in cui i membri di Arkeon saggiavano le loro dinamiche. Come qualcuno non abbia notato il passaggio di bare, come nessuno dei dipendenti non abbia notato che membri di Arkeon salivano su un pulmanino vestiti di stracci per andare a chiedere l'elemosina in paesi vicini. Ci chiediamo davvero come le strutture ricettive non abbiano notato nulla di strano”.
Avendo io partecipato ai seminari cui si fa riferimento quando si parla “passaggio di bare” e di “pulmanini” di questuanti “vestiti di stracci”, credo di poter dire qualcosa sull’argomento, di più aderente alla realtà delle ossessive fantasie evocate da quell’articolo (per un approfondimento si veda l’ultimo post di Pietro Bono).

IL SEMINARIO SULLA CREATIVITA’
Partiamo dai questuanti vestiti di stracci. Il riferimento in questo caso è a un seminario residenziale di cinque giorni noto come “The business of you”, altrimenti noto come “Il seminario sulla creatività”. Partecipai una volta a questo intensivo, credo nell’agosto del 2003. Molti lo chiamavano “intensivo sul denaro”, ma a mio modo di vedere non era corretto: il lavoro aveva a che vedere col denaro più o meno quanto il sesso ha a che vedere con l’amore. Io ci andai per lavorare sulla mia creatività, personale e professionale, sul mio rapporto di apertura o chiusura con la vita. Mi fu molto utile.

Ad un certo punto del seminario fu proposto l’esercizio in questione. CHI VOLEVA (ripeto: chi voleva!) veniva invitato ad andare in uno dei paesini circostanti e a sedersi per chiedere l’elemosina da qualche parte per un po’ di tempo. Ciascuno era libero di decidere SE farlo, DOVE farlo, COME farlo e PER QUANTO farlo.

Ci fu suggerito di non metterci l’abito migliore, per essere almeno un po’ credibili, ma non c’era nessuno vestito di stracci: forse perchè nessuno aveva stracci; forse perché vuoi evitare di essere avvicinato dai Vigili; o forse solo perché non c’erano pazzi invasati ma persone che volevano fare un’esperienza di sé. Personalmente mi misi un paio di pantaloni da lavoro e una magliettina che avevo portato per il seminario (essendo agosto e lavorando all’aperto ci si sporca e si suda, quindi portavo sempre roba vecchia), più un paio di sandali di plastica che di solito usavo per la doccia: credo sembrassi trasandato più che straccione.

Non c’era alcun “pulmanino” (non era mica l’alpitour!), bensì ci dividemmo in gruppi da 4, abbastanza per potersi muovere in macchina ciascun gruppo verso un paesino diverso. Arrivati nel paesino, parcheggiavamo un po’ fuori e poi ci addentravamo a piedi verso il centro cercando un posto dove fermarsi.

Non conoscevo il paese, quindi non sapevo quale potesse essere un posto giusto. L’unica cosa che avevo chiaro è che volevo un posto con molto passaggio e lontano dagli altri: i questuanti lo fanno per avere più possibilità di raccogliere soldi; io lo facevo per avere più possibilità di non sfuggire a un’incontro che mi metteva a disagio. Scelsi un punto vicino all’ingresso di una chiesa e mi fermai. Pensai allo zingaro che ogni domenica mattina incontravo davanti alla chiesa della mia parrocchia. Era pomeriggio, la strada era affollata di macchine ma di pochi passanti, il cielo era nuvoloso e cupo.

La cosa più difficile fu fermarsi. Sedersi. Quello era i momento in cui diventava chiaro al mondo che io non ero un passante ma un mendicante. Con infinita fatica scesi a terra. Istintivamente scelsi di mettermi in sei-za (in ginocchio sulle caviglie) e non seduto a terra…forse per mantenere un senso di dignità. Misi il cappellino bianco da muratore che avevo per terra alla mia destra, per l’elemosina.

Prima di partire ci era stato suggerito di preparare un cartello su cui scrivere “la nostra richiesta al mondo”. Ciascuno aveva scelto cosa scriverci sopra strada facendo. Poggiato a terra il berretto mi decisi e scrissi “Ho Fame. Non ce la faccio da solo. Aiutatemi. Grazie”. Era il messaggio della mia paura, la voce interiore dei miei momenti più bui: la sensazione di non farcela da solo…e la vergogna di chiedere aiuto. Volevo andare dentro a questa paura, ero lì per quello. Tenni il biglietto in mano per alcuni istanti, guardandolo per sentirne l’effetto, e quindi lo appoggiai dietro il berretto dell’elemosina, ben visibile.

Per alcuni minuti (saranno stati una decina) non passò nessuno a piedi, solo rapidi automobilisti che in molti casi nemmeno mi notavano. Poi arrivò la prima persona. Nel quaderno che stesi in serata appuntai quanto segue:
“La prima persona è stata una signora dell’età di mia madre o poco più, come molte, che mi ha dato qualche spiccio senza guardarmi o parlarmi. Poi è venuta altra gente: uomini dall’aria di padri feriti, madri silenziose, bimbi e bimbe, nonni e nonne. Un mio coetaneo mi ha dato 5 euro dicendomi “Ciao….mi spiace che tu stia così!”. Una signora di 40 anni, allegra, mi ha sorriso, mi ha dato 5 euro e mi ha detto “Vai a ripararti, che tra poco piove”. Molti ragazzi e coetanei mi guardavano con rabbia e minaccia, ho rivissuto il tempo in cui da bambino alcuni teppisti mi volevano picchiare senza conoscermi: era quella mia aria da chi si tira indietro.
Ad un certo punto accostò un’auto, ne scesero due ragazzi di 35 anni che mi portarono pochi centesimi, ridendo. Da lontano quello che doveva essere loro padre si sbraccia dal finestrino dell’auto e gli grida arrabbiato “Ma che fate? Non si fa così!”… e gli dà 5 euro da portarmi. Alla fine sono passati i vigili a chiedermi da dove venivo. “Sono di passaggio” ho risposto e se ne sono andati”.

Dopo circa un'ora avevo raccolto 65 euro, che destinai in chiesa a ciò per cui mi erano stati dati: aiutare qualcuno in difficoltà.

Questa è stata la mia esperienza, e cosa abbia significato per me è evidentemente affare mio. Altri l’hanno vissuta diversamente. Dei miei tre compagni uno mi raccontò che andava incontro alle persone per farle sentire in colpa e aumentare la probabilità di donazione. Un altro – che era vestito come un rappresentante alla fiera – mi disse di essersi messo di fronte a un ipermercato per far finta di essere uno che aspettava qualcosa e di aver chiesto l’elemosina solo a una persona – che gli era sembrata quella giusta – spiegandogli che non era proprio per l’elemosina ma che non gli poteva spiegare e poi se n’era andato. Insomma, ognuno ha fatto qualcosa di totalmente diverso, nelle forme e nel significato, ma soprattutto ha fatto quello che sentiva suo.

IL SEMINARIO SULLA MORTE
L’altro riferimento – quello al passaggio di bare – rimanda ad un altro seminario residenziale, il cosiddetto “I’m living honouring my death” volgarmente noto come “Seminario sulla morte”. Questo seminario sembra rappresentare l’ossessione di molti foristi del Cesap, perché – essendo stato l’ultimo seminario introdotto – nessuno di loro ha mai avuto modo a loro detta di parteciparvi. Per questo a diverse riprese in questi anni si sono sollecitati vicendevolmente affinché qualcuno raccontasse cosa accadeva in questi seminari, che dal nome stesso dovevano certamente essere turpissimi e macabrissimi.

Ho avuto la fortuna di partecipare anche a questo seminario, nell’aprile 2005 . Mi spiace deludere subito i lettori, ma non racconterò granché del seminario, perché non saprei farlo. Mi soffermo solo sull’aspetto richiamato dai nostri amici del Cesap (le bare in processione), che come al solito confondono l’atto col significato.

Durante il seminario si cercava di immaginare – per quanto sia possibile – di essere in procinto della propria morte, per raccogliere il senso ultimo dei propri atti, della propria esistenza e più semplicemente del vivere. Ad un certo punto del seminario, si celebrava ritualmente la propria morte. Togliendo la pietra che ci rappresentava dal più ampio cerchio della vita. E andando a costruire una tomba sotto il proprio albero.

Non c’era nessuna bara. E nessuna processione. Mi viene da ridere pensando alla Tinelli che fantastica di inesistenti processioni di inesistenti bare: se uno prova anche solo a pensarci, come potrebbe immaginare una roba simile? con cosa la faccio, la bara? e verso cosa sarebbe stata organizzata la fantomatica processione? è possibile non rendersi conto di quanto sia grottesco e ridicolo immaginare una cosa simile?
C’erano invece tombe, ciascuno costruiva la propria, ed erano ovviamente tombe simboliche. Si mettevano alcune pietre sotto il proprio albero a segnare il perimetro di una fossa ideale e magari si metteva in cima qualche pietra impilata a mò di lapide, con una propria foto. Lo scopo non era scavare fosse e fare edilizia funebre, ma meditare sul senso della vita attraverso un’azione rituale.
Devo dire che la ridicola fantasia della Tinelli mi ha fatto ripensare con ilarità alla varietà di modi in cui tanti miei amici nello stesso seminario intesero quell’atto simbolico e rituale. Chi si limitò a mettere un sassetto e una foto (se dev’essere simbolico, meglio non perdere tempo con inutili attività materiali che potrebbero affaticarmi!). Chi scoprì l’anima dello speculatore edilizio, edificando una tomba agile e moderna con una serie di coppi avanzati, facili da mettere e togliere e igienici da mantenere. E chi infine entrò compiutamente nel senso drammatico e profondo del simbolo, dedicandosi alla costruzione di una specie di piramide di Cheope, ammassando da tutto il campo di ulivi strati di pietroni da dieci chili l’uno fino a mezzo metro d’altrezza. E come ridevano quelli che – avendo già finito perché aveva fatto una tombetta prefabbricata - sapevano che alla fine della cerimonia la tomba andava ovviamente smontata rimettendo tutto al suo posto originario!
Quello che io mi portai a casa da quel seminario bislacco, nel quale ho riso più che in tutti gli altri seminari, è riassunto in una paginetta che scrissi quella sera su quella tomba e che ho ritrovato oggi, in un momento particolare della mia vita, cercando materiale per questo post (e per questo posso ringraziare la Tinelli).
“Caro Cosimo,
sei morto poche ore fa. La tua tomba giace nel campo vecchio degli ulivi, a Ostini, la tua pietra è uscita dal cerchio della vita e sta tra quelle degli antenati. Io osservo tutto questo, seduto sulle radici del tuo albero…ed perfetto. Io sono la tua anima.
Provo tenerezza nel ringraziarti per la tua vita, per la tenacia e l’impegno con cui hai cercato di vivere: ora posso dirlo, non hai quasi mai vissuto. Non sapevi che tutto è presente da sempre, che l’unico sforzo necessario è arrendersi. Tu combattevi.
Credevi che il padre potesse non amare il figlio, ti sei odiato con tanto odio quanto amore hai ricevuto, ti sei fatto carnefice di te stesso per non dare a nessun altro il potere di ferirti ancora, per non lasciare uscire quel gemito che si chiama amore e che sentivi ti avrebbe frantumato. Lo ha fatto! E ti onoro per averlo permesso, quando hai riconosciuto in Lorena l’unica spada che poteva ucciderti e non ti sei difeso.
Ti perdono per non aver amato il tuo corpo, per aver avuto paura degli uomini, per la tua rinuncia. Hai fatto tutto ciò che potevi, anche quando era sbagliato.
Ti ringrazio per la tua fede, che pure non conoscevi, e perché nella resistenza hai comunque saputo leggere i segni e seguirli.
Mio compagno, amico e maestro”.

Leggendo la distanza tra la semplicità di quell'esperienza (addirittura naif) e la ossessiva capacità di immaginare oscuri quanto imporbabili misteri, non riesco a non ripensare a quanto sia vero ciò che ha scritto Carlo Lucarelli nella prefazione al bel libro sul caso Dimitri (Bambini di Satana, di Antonella Beccaria):

“Tanta gente, a livello di convinzione personale, ha creduto immediatamente e quasi istintivamente all’esistenza a Bologna di una setta satanica con comportamenti criminali efferatissimi che arrivavano fino all’omicidio rituale. Attenzione, non è l’ipotesi in sé che mi colpisce, certe cose da qualche parte accadono veramente e quindi possono anche essere prese in considerazione. È il fatto che tutta questa ipotesi fosse basata, come è stato riconosciuto, su niente. Assolutamente niente. Eppure per tanto tempo siamo stati convinti, di più, affascinati da una storia del genere.
Ecco, affascinati è la parola giusta. Io per primo (…) Vedi che ci sono, sembravano dire i particolari che di volta in volta emergevano sui giornali, vedi che abbiamo ragione a pensare male, vedi che queste cose da film esistono davvero? E invece no, non era vero. Non a Bologna, non per i Bambini di Satana e per non Marco Dimitri.
È anche su questo morboso e deviante fascino del male che questo libro fa riflettere. Su quell’ansiosa eccitazione che ci fa correre ai giornali tutte le volte che leggiamo quella parola, satanico, quasi fossimo assurdamente desiderosi di vedere avverati i nostri peggiori timori, invece di chiederci che cosa significhi esattamente quella parola, su cosa si basi concretamente il diritto di evocarla, e di pretendere correttezza e professionalità da chi la usa”

giovedì 24 settembre 2009

Arkeon e la dottoressa Lorita Tinelli

Ogni successivo documento che diventa pubblico su questa vicenda di Arkeon - e in particolare ogni parola scritta dalla dottoressa Tinelli – mi lascia più sgomento.

Già da tempo, leggendo sul suo sito personale il suo CV da lei stessa postato, mi ero fatto la personalissima idea che fossimo in presenza di una persona di modesto spessore professionale: impressione che trova semplicemente conferma in quanto recentemente postato sul sito Lorita Tinelli Svelata. Ciò che, però, mi lascia allibito è che qualcuno abbia preso sul serio e continui a prendere sul serio certe sue affermazioni molto gravi e impegnative, nonostante le missive che ricevono da costei.

Emblematico in questo senso il fax pubblicato recentemente sul blog di Silvana Radoani inviato nel 2007 dalla Tinelli al Pm di Bari incaricato delle indagini sul caso Arkeon, nonché ai presidenti degli ordini degli psicologi della Puglia e dell’Emilia.

In sintesi il fax dice tre cose: segnala ai destinatari che “sul sito dell’Associazione della Radoani è stato pubblicato un articolo inerente il caso Arkeon” (il famoso documento con cui la Radoani esprimeva valutazioni circa la presunta relazione tra Arkeon e Padre Cantalamessa); riassume la storia della relazione tra Radoani e Tinelli (ovviamente vista solo dal lato della Tinelli); asserisce che la Radoani non possa sapere nulla di Arkeon.

Non entro nel merito della contesa tra Radoani e Tinelli e nei contenuti del fax a questa relativi. Ma un lettore non addentro ai trascorsi della dottoressa potrebbe chiedersi ingenuamente “…e che gliene dovrebbe fregare a un PM di queste cose?”.
A questa domanda per fortuna risponde nel fax la Tinelli stessa, con l’innocenza di chi non si rende conto di ciò che dice.

Prima risposta: “La divulgazione di informazioni imprecise crea destabilizzazioni tra i fuorusciti e gli attuali aderenti”.
A parte che è curioso leggere la preoccupazione della Tinelli non solo per i fuoriusciti ma anche per quegli aderenti che sul suo sito sono stati dileggiati, che ha segnalato alla polizia e contribuito a sbattere in prima serata sulle televisioni… a parte che non si capisce come una stessa informazione possa destabilizzare sia i fuoriusciti sia gli aderenti (delle due l’una, si direbbe)…ma in sostanza cosa dovrebbe farci il PM? arrestare la Radoani per il reato di tentata destabilizzazione di fuoriuscito?

Seconda risposta: “La divulgazione di informazioni imprecise crea destabilizzazioni per le indagini stesse perché la confusione tra informazioni corrette e scorrette potrebbe seriamente inficiare le indagini o crearne dei rallentamenti”.
Che il PM possa essere interessato alla presenza di fattori turbativi delle indagini è forse possibile...ma certamente non sarebbe stato “turbato” da una notizia che probabilmente non aveva finché non gliel’ha fornita la Tinelli; quand’anche l’avesse ricevuta, sarebbe stato libero di chiederne conferma alla Tinelli (o magari ad altri, metti mai!) senza che lei si disturbasse a preoccuparsi per lui; e comunque si dà anche il caso che questi potesse saper distinguere il vero dal falso senza il suo aiuto. Insomma, il lettore non addentro ai trascorsi della dottoressa probabilmente si immaginerebbe il PM che risponde piuttosto seccato a questa cittadina petulante: “grazie, non si disturbi!”
Il punto invece sembra essere proprio che lei “si disturba” perché al centro ci dev’essere lei, le notizie deve fornirle lei, l’interpretazione dei fatti deve fornirla lei, come fino ad oggi è stato in tutte le sedi (tv, radio, procura di Bari). Finché lei è la mediatrice di tutto, la verità ha una faccia sola, come nel caso della sua relazioni con la Radoani, dove enuncia le querele che la Radoani ha ricevuto senza però chiarire che vengono solo da lei e che sono state tutte respinte. E poi, finché lei è al centro, può far valere questa infinita lagna da vittima che avanza da tre anni, di essere oggetto di un complotto di persone che vogliono “farla fuori”. Lagna portata avanti nello stesso fax, sul sito del Cesap e in ogni dove, a dispetto del fatto che chi ha denunciato a ripetizione o segnalato alle autorità le colleghe (DiMarzio, Radoani, Santovecchi, Caparesi, Martini) in uno stile professionale “discutibile” è lei.
La sua pretesa di centralità è così forte da portarla a scrivere al PM per segnalare che “qualcun altro sta parlando di Arkeon”. Indifferente al fatto che anche lei ne parla pubblicamente, che anche nel suo sito se ne parla, che anche i giornali ne parlano, che tutti ne parlano, anche chi non sa nulla e dice emerite e palesi sciocchezze …ma evidentemente non possono parlarne “i testimoni di difesa” né altri “esperti” o presunti tali, potenziali concorrenti. Solo lei ha la patente!

Terza risposta: tale divulgazione “in un momento in cui il Cesap e la Tinelli sono oggetto di continui attacchi sulla rete diventa pericolosa e scorretta”.
…eccolo lì il complotto! Ma di nuovo non si capisce in che modo dovrebbe essere pericolosa per il Cesap una lettera (sciagurata, come ho avuto modo di dire alla stessa Radoani sul suo blog) che a tutti gli effetti sposava la linea colpevolista (o almeno sospettivista) del Cesap. Né, di nuovo, si capisce cosa potrebbe farci in tal caso un PM.

Ma la più clamorosa è la quarta risposta, quella che la stessa Tinelli cita come la ragione fondamentale quando dice “ancor di più, millantare in generale una tale preparazione ed esperienza significa dirottare verso di sé persone bisognose di aiuto senza avere la il benché minimo senso delle reali necessità di queste persone …, venire a conoscenza di informazioni senza avere la benché minima capacità di gestire queste informazioni…, assumersi la responsabilità della salvezza della vita delle persone senza a avere la preparazione professionale adeguata”.
Qui veramente vedo il lettore non addentro ai trascorsi della dottoressa incepparsi e balbettare dallo stupore mentre si chiede “…e mo’ questo che c’entra?”
Forse in realtà questo pezzo della lettera era pensato non per il PM per gli altri due destinatari della lettera, gli ordini degli psicologi regionali, come una specie di segnalazione di abuso di professione.
Il grande tema dell’ABUSO DI PROFESSIONE DI PSICOLOGO.
Ora il tema va capito nella sua rilevanza personale: in tutto il corposo curriculum della Tinelli l’unica cosa che abbia un valore in qualche modo oggettivo, verificabile, non autoproclamato è il suo essere laureata in psicologia e iscritta all’ordine. Che, in questo come in altri campi, possano laurearsi cani e porci e che l’esame di abilitazione a qualsiasi ordine sia una buffonata, per cui un semplice titolo di per sé non dimostra nulla, questa è un’altra questione: intanto lei è laureata e iscritta. E LE ALTRE NO. Perché è vero che nel settore degli antisette di psicologi se ne vedono pochi… tanti diplomati, qualche laureato in materie umanistiche, qualcuno magari in psicologia della religione o pedagogia, ma nessuno PSICOLOGO… questo è il punto! Nel settore lei sembra essere l’unica con “il giusto titolo”. La patente.

Ora la Radoani, che non mi sta particolarmente simpatica, sul punto coglie il bersaglio. Cioè che forse le persone non vengono “dirottate”, come sembra pensare e forse crede di poter fare la Tinelli, ma sono libere e capaci di scegliere (e chi sceglie lei sceglie quel certo stile di aiuto personale e di militanza mediatica). E soprattutto che non esiste, come di nuovo sembra credere la Tinelli, una “preparazione professionale adeguata per assumersi la responsabilità della salvezza del prossimo”. Perché non esiste una responsabilità o un ruolo in tal senso (non ce l’hanno i preti e i genitori, che forse ci sono più vicini per missione) e se anche esistesse non sarebbe certo una modesta laurea in psicologia a poterla sostenere. Ma secondo lei, la Radoani non ha la preparazione per fare ciò che invece lei fa.
Di nuovo lei, sempre lei al centro, addirittura responsabile della salvezza del prossimo e quindi, in quanto combattuta e osteggiata da ostili censori, vittima innocente, oserei dire martire (senonchè vive).
A questo proposito mi ha sempre colpito che le persone che postano sul Cesap non solo non abbiano mai fatto alcun distinguo rispetto alle sue opinioni, neanche una volta, ma anzi ne difendano sempre a spada tratta “la santità”, mentre molti dei blogger che scrivono positivamente di Arkeon non hanno mancato di evidenziare critiche tanto ad Arkeon quanto al suo fondatore, che pure per molti di noi non è stato solo il maestro ma è anche (soprattutto) un amico e un compagno di anni di vita.

Allora, per tornare a quanto dicevo all’inizio, quando leggo un fax come questo mi chiedo come possano i vari destinatari non porsi delle domande. Domande serie, intendo.