martedì 10 giugno 2008

Arkeon: il sabato è fatto per l'uomo...

Post originario su "Parliamo di Arkeon"
http://groups.google.it/group/parliamo-di-arkeon/browse_frm/thread/6678845bc253fd14?hl=it

On 10 Giu, 14:52, herbak wrote: "Una volta ripristinato l'equilibrio, non era più necessario (anzi diventava dannoso IMHO) restare ancorati pedissequamente a quegli atti formali o trasportarli tali e quali, sterilmente, al di fuori dei seminari. Questo, IMHO, è quello che mi arriva dai racconti dei vari Tiresia, Carlo, Emanuela, ecc. ecc., mi sembra che non siano riusciti a ritrovare questo equilibrio e che siano rimasti attaccati alla forma, da loro recepita come abusante. Naturalmente ho tutto il rispetto per le loro sofferenze, ed escludo da questo discorso gli eventuali reati commessi da chicchessia".

Condivido quanto scritto da Herbak.
La forma custodisce la sostanza, e in questo senso è essenziale. L’uso di una forma fisica, di riti, di comportamenti ripetuti, a volte anche un po’ legnosi, come via per educare l’anima è cosa nota da sempre, dal rosario all’ora et labora allo star seduti bene a tavola. Era un tratto fondamentale nel lavoro di Arkéon, dal lavoro tramite il corpo all’uso di certi atti (l’inginocchiarsi di fronte all’interlocutore in seiza) o di certe forme linguistiche codificate (per esempio “io risento con te per…”), tutte cose che servivano a portare a consapevolezza azioni e intenzioni spesso agite in maniera automatica, inconsapevole.
Ma quando l’uso della forma ha generato comprensione, rende anche liberi dalla forma, che diventa solo scelta. L’episodio biblico di Gesù criticato perché guarisce di sabato e risponde “il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato” è emblematico in questo senso. Un precetto posto per ricordare agli uomini di santificare Dio non può diventare un vincolo che gli impedisce di onorarlo con i comportamenti d’amore che quella santificazione dovrebbero ispirare.
Condivido anche la valutazione di Herbak sul limite delle interpretazioni di Tiresia & al. Immagino l’obiezione (da qualche parte credo sia stato anche detto) secondo cui quando una persona a cui si riconosce un’autorità morale propone delle forme e lo fa nel contesto di un gruppo che accetta e condivide tali forme, il singolo può sentirsi di fatto spinto o forzato a farle proprie anche non condividendole. Credo sia quanto Herbak intende quando dice “forma, da loro recepita come abusante”.
Tuttavia esistono la libertà e la responsabilità: le persone sono adulte, maggiorenni e responsabili. Anche delle stupidaggini che fanno. Ci sono santoni indiani che vivono anni con il braccio destro alzato fino a farlo atrofizzare e da tutto il mondo vanno a incontrarli: posso averne il giudizio che voglio, ma non posso negare la sua libertà di farlo, né posso negare la possibilità che in quel gesto ci sia o vi si possa trovare un senso o una via a me imperscrutabile verso la saggezza.
E’ qui che viene spesso tirato fuori l’argomento del plagio, di solito alludendo a tecniche non meglio precisate o di cui si hanno sospetti ma non riscontri, per dire che quella non è libertà ma follia indotta. La scelta di abolire il reato di plagio si basa sul concetto di buon senso che – se c’è plagio – si deve desumere dai crimini commessi dal plagiatore grazie al plagio, per i quali già esiste il codice civile. L’unico caso che lascia fuori è quello dei comportamenti cosiddetti assurdi tenuti per effetto del plagio: “una persona sensata non lo farebbe”. E questo è il motivo per cui tale reato è stato abolito, perché con questi argomenti davvero entriamo nel mondo del soggettivo, delle paranoie individuali, delle ossessioni di giustizia e verità, dei padri padroni o delle madri oppressive. Il classico stereotipo del “prima era un bravo ragazzo, poi è stato traviato”, non molto diverso dallo stereotipo dei racconti degli entusiasti di qualcosa (prima era tutto brutto, poi è stato tutto bello).

Tornando a noi, ho visto molte persone nei cerchi parlare per frasi fatti, dire di tutti “è una bella persona”, parlare di onore, di padre, dio e famiglia ogni due per tre e mettere Arkéon al centro della propria esperienza adducendogli tutti i benefici reali o presunti avuti nella vita. Sinceramente, due palle. Ma vedo le stesse cose tutti i giorni in ufficio, in parrocchia, in famiglia. Il bisogno di appartenenza, di identità, di approvazione sono forti per tutti (chi più chi meno) e portano molti a “essere come tu vuoi che sia”. Lo si diceva spesso nei cerchi e ciononostante molti lo hanno fatto rispetto ai cerchi, cercandone l'approvazione, senza nemmeno accorgersene. Riconoscere la libertà delle persone è anche riconoscere la libertà di travisare il senso, di sbagliare scelte, etc etc...
Detta brutalmente, ad un certo punto finisce la scuola dell’obbligo, ognuno è libero di fare di sé ciò che vuole, non c’è più l’obbligo di portare tutti ad una stessa comprensione delle cose e soprattutto le maestrine mettono via la penna rossa.

p.s. per chiarezza e onestà, credo che molto casino sia nato non solo dai vissuti non rielaborati descritti da Herbak, ma anche da alcuni maestri che hanno fatto i maestrini con la penna rossa. Questa cosa non è secondaria, tutt'altro, ma non è penale.

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