giovedì 11 giugno 2009

Arkeon e il giornalismo famelico (1)

Faccio riferimento all'ultimo post di Pietro Bono, che tratta un esempio particolarmente evidente dei meccanismi che sono scattati nella vicenda “Arkeon”.
All’origine c’è una persona (“la supertestimone di Pescara”) che denuncia di aver subito reati a sfondo sessuale durante un seminario con una coppia di maestri di Arkeon. Se non ricordo male, la testimone in TV diceva di non aver denunciato il fatto ma di aver presentato un esposto (tant’è che i giornalisti la incalzano dicendo “se c’è reato denunci”). Ma soprattutto parlava dei fatti senza mai circostanziarli al maestro cui si era rivolta, ma riferendosi più in generale ad Arkeon, con ciò suggerendo che quello che lei ha vissuto in quei seminari fosse Arkeon e addirittura lanciandosi in una serie di valutazioni circa il modo in cui “funzionerebbero questi percorsi”. Percorso di cui lei non sembra aver mai conosciuto altri maestri né mai seguito altri seminari e di cui quindi non può dire di conoscere sostanzialmente niente. Come se, avendo subito un abuso da un prete, avesse detto “era in una chiesa, ho subito un abuso, nelle chiese i preti fanno così”.

Questa testimonianza viene ripresa da mille giornali per tre anni, ogni volta aggiungendo, togliendo o affiancando quaqlche dettaglio più o meno attinente e vero. L’articolo del gennaio 2009 di Nardecchia citato da Pietro arriva buon ultimo e tuttavia riesce ancora a scrivere delle sciocchezze. Dopo aver riportato esattamente il solito articolo scritto da decine di altri giornalisti, ci mette del suo e scrive “I reati a sfondo sessuale saranno accertati dalla procura della Repubblica di Milano, dove è stata stralciata la posizione di alcuni degli indagati. Le violenze sarebbero avvenute alla presenza di minorenni, i quali sarebbero stati costretti ad assistere a episodi di forte impatto emotivo”. Il suo che ci mette non è il contenuto (anche questo riportato infinite volte) ma l’accostamento di frasi riferite a cose diverse. Da un lato l’attribuzione dei reati a sfondo sessuale al maestro milanese e il conseguente stralcio del processo per quel reato. Dall’altro l’accusa - in realtà rivolta ad altri maestri - di aver fatto partecipare a seminari dei minori e in particolari a situazioni di alto impatto emotivo. Se non sono stato chiaro, sto dicendo che l’accusa di reati a sfondo sessuale è circoscritta a quei due eventi di quel maestro e non agli altri indagati, mentre l’accusa di aver fatto assistere minori a scende di forte impatto emotivo riguarda altri due maestri. A distanza di tre anni dai fatti, con tonnellate di materiale disponibile e sedimentato, Nardecchia sta ancora confondendo le mele con le pere. Cosa che la sua stessa grottesca frase dovrebbe rendergli evidente anche qualora non conoscesse i fatti: letta nella sua interezza, infatti, essa direbbe che i reati a sfondo sessuale, cui sarebbero costretti ad assistere i minori, sarebbero episodi di forte impatto emotivo…un eufemismo che anche a jack lo squartatore farebbe un po’ ribrezzo.

Non va meglio per l'altro articolo citato da Pierto, quello di Antonio Nasso, che sullo stesso argomento il 29 maggio non fa mancare trovate geniali. A partire dal titolo “Violentate da un finto santone”, che mi lascia con l’angosciosa domanda di chi sia un vero santone e se l’essere un santone finto sia un aggravante alla violenza rispetto al caso in cui a macchiarsene fosse stato un santone vero. Si prosegue con l’affermazione che “la setta aveva sede a Bari”, che omette di aggiungere alla parola setta l’aggettivo “presunta”, superando di slancio il fastidioso problema di verificare se quella fosse davvero o meno una setta. Il colpo di genio è però la frase “Condizionando psicologicamente le sue vittime con la falsa autorità derivante dalla qualifica di “maestro” all'interno della setta”. Per chi l’ha letta decine di volte nei vari testi del Cesap, quella “falsa autorità” è un grottesco e noto marchio di fabbrica, che rivela solo come Nasso non si sia peritato di modificare almenole parole del compito che gli è stato passato dalla vicina di banco secchiona. Posso capire il fastidio di chi dice “ma maestri de che?” e quindi indica con disprezzo la falsa autorità di tali maestri…ma credevo che per suggerire l’ipotesi di plagio (reato che non esiste oggi : bisognerebbe parlare di circonvenzione di incapace…ma darsi degli stupidi da soli è sempre sgradevole) ci volesse almeno una roba consistente tipo “le tecniche preordinate di condizionamento psicologico” di cui parla la Tinelli (sconosciute alla scienza, ma vabbè) e non una banale “falsa autorità”. Infine c’è l’ipotesi dello “stupro di gruppo” che se fosse vera avrebbe generato avvisi di garanzia anche per gli altri violentatori, mentre qui non solo non c’è stato alcun provvedimento cautelare, ma il rinvio è solo per il maestro in questione.
La domanda è: ma chi scrive – che immagino sia in buona fede – si domanda il senso e le conseguenze di quello che scrive?

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